LE INTOCCABILLI PROSPETTIVE TERRENE – TEXTE

Silent echo “For some years I have watched movies without images, only listening to the audio” (Andreas Golinski).

By synaesthesia, all Golinski’s works propagate themselves in ways not unlike those of sound waves. Sculptures, collages, objects and small mise-en-scène, installed and designed, vibrate with a silent echo, custodians of secret, often intimate and painful stories, they appear to us as the very representation of the physical place of memory, a private and collective space, designed without either scale or recognizable borders, described by layers and detours.
Histories handed down by word of mouth, unconfessed tales concealed among the walls on the edges of town, unsettling events recounted by the media, are gathered and collected by Golinski in order to build scenarios and micro-sets, where the very narration is deconstructed, abstracted and rearranged.
The tale, the mnemonic process and the dynamics of verbal transmission of the story inspire the work of the German artist. This has been the case of Untitled (Ruhrtal) 2008, a work in which the architect who has designed the longest steel bridge in Germany intertwines the plot of its genesis with that of a mysterious kidnapping that happened years ago in the heart of the Rhine Valley, as well as of Schächte 2007, a reconstruction of the dark scenario of a mine through more than forty years of tales and history. Corners and portions of places, whole rooms and pieces of architectures are removed from their context and transformed.

The paint, black on black, is layered on shreds of space which have been rearranged by Golinski, and every coat seems to absorb, more and more, the very gaze of the spectator: to remember is something that has neither place nor space, the eyes are closed to make the vision deeper, before the window saturated with colour which the artist has installed in the space of Galleria De March.
The pieces of the metal structure, screwed together and mounted on a tiny crepidoma, almost as if to evoke a rationalist column, the mysterious angular shapes, the geometries of frames, the details of the buildings which the artist presents in the exhibition as collages installed on large bands of black rubber, are nothing but a distant echo of some threatening political architectures from the early years of the Twentieth century. Profiles and figures which evoke the powerful and ambiguous relationship between the silence of the apparently technical and decorative form, and the threatening resounding of a tale, of an unsettling and dramatic strategy.

Exploring the blurred borders between memory, private and collective unconsciousness and architecture, the German artist succeeds in producing a poetic synthesis of contemporary spatiality, a continuum without friction designed by Deleuzian folds where space and time seem to touch one another, head and tail.

Francesco Garutti


 

 

-Per alcuni anni ho guardato i film senza le immagini, ne ascoltavo solo l’audio- (Andreas Golinski).

Per sinestesia tutte le opere di Golinski si propagano con modalità simili a quelle delle onde sonore. Sculture, collages, oggetti e piccoli mise-en-sce’ne allestiti e progettati, vibrano di un’eco silenziosa, custodiscono narrazioni segrete spesso intime e dolorose, ci appaiono come la rappresentazione stessa del luogo fisico della memoria, uno spazio privato e collettivo, disegnato senza una scala e dai confini irriconoscibili, descritto per stratificazioni e de’tournement. Storie tramandate di bocca in bocca, racconti inconfessati tra le mura delle periferie della città, inquietanti fatti di cronaca sono raccolti e collezionati da Golinski per la costruzione di scenari e micro-set attraverso i quali la narrazione stessa viene decostruita, astratta e riallestita.

Il racconto, i processi mnemonici e le dinamiche di trasmissione orale della storia informano l’opera dell’artista tedesco. Cosi‘ e‘ accaduto con Untitled (Ruhrtal) 2008, lavoro in cui l’architettura del ponte in acciaio piu‘ lungo della Germania intreccia la trama della sua genesi con quella di un misterioso rapimento avvenuto anni fa nel cuore della Renania, e ha luogo in Schächte 2007, la ricostruzione dell’oscuro paesaggio di una miniera attraverso piu‘ di quarant’anni di racconti e di storia.

Angoli e ritagli di luoghi, stanze intere e pezzi di architettura vengono decontestualizzati e trasformati. La pittura nera su nero si stratifica sui brandelli di spazio re-impaginati da Golinski, ogni strato di colore sembra assorbire sempre di piu‘ lo sguardo stesso dello spettatore: ricordare non ha luogo ne‘ spazio, gli occhi si chiudono per aumentare la profondità della visione di fronte alla finestra satura di colore che l’artista allestisce nello spazio della Galleria De March.

I pezzi di carpenteria metallica avvitati ed appoggiati su di un minuscolo crepi doma, quasi a ricordare una colonna razionalista, le misteriose forme angolari, le geometrie delle cornici, dei dettagli degli edifici che l’artista presenta in mostra come collages allestiti su grandi nastri di gomma nera, non sono altro che l’eco lontana di alcune minacciose architetture politiche del primo novecento. Profili e figure che evocano la potente ed ambigua relazione tra il silenzio della forma apparentemente tecnico e decorativo, e il rimbombare minaccioso di un racconto, di una strategia inquietante e drammatica.

Per analogia e contrasto e‘ interessante rilevare come il progetto della forma che per Lo Savio fu negli anni -60 strumento e progetto preciso in grado di ridurre, selezionare e relazionare valori essenziali della realtà, per Andreas e‘ un dispositivo volutamente pensato per inghiottire la realtà e restituirne solo un’allusione, una risonanza.

L’opera di Golinski sembra cosi‘ toccare alcuni tasti cruciali per l’analisi del milieu del nostro tempo. -Lo spazio e‘ curvo o diritto?- si chiedeva Mario Merz nel 1974. Oggi lo spazio sembra essere -piegato-, fenomeni come jet-lag e de’jà-vu e soprattutto dispositivi del racconto sempre piu‘ in uso come l’ellissi e il flash-forward sembrano esserne in qualche modo metafora. Esplorando i confini incerti tra memoria, inconscio privato e collettivo ed architettura, l’artista tedesco riesce a produrre una sintesi poetica della spazialità contemporanea, un continuum senza attriti disegnato da pieghe deleuziane in cui spazio e tempo sembrano toccarsi, testa e coda.

Francesco Garutti