Andreas Golinski
a  cura di Camilla Seibezzi 

“Credo solo a ciò che vedo” potrebbe essere oggi la controversa risposta di uno sguardo estenuato da una pioggia di immagini quanto l’amara difesa di chi nella fiducia è stato fin troppo tradito.

“Prova a sentire quel che guardi” è l’invito certo che l’opera di Andreas Golinski offre con pari dignità tanto al pubblico esperto dell’arte contemporanea quanto al pedone che ogni giorno attraversa il ponte di San Benedetto a Padova.

Lungo il canale Piovego, laddove ieri lo sguardo incontrava quasi con distratta abitudine lo stile liberty del ponte di San Benedetto, il passante oggi si confronta con una nuova “apparenza”: una complessa struttura di reti metalliche e griglie, studiate ingegnosamente dall’architetto Davide Vizzini, descrive la creazione artistica di Golinski.

Andrea Palladio geniale nativo padovano scrisse i codici elementari ma mai scontati del buon costruire, brevi indicazioni che aiutano ad erigere opere sane, longeve e belle da cui derivare mille declinazioni. In queste stesse strade si narra oggi, in Casa di foglie di Mark Z. Danielewsky,

 

 

dell’esistenza di una piccola abitazione  dal perimetro certo ma dai labili confini interni, un viaggio interiore che esplora lo spazio senza una risposta certa. Aldilà di ogni porta inizia un viaggio che dilata la dimensione spazio-temporale quanto l’incredibile plasticità delle reti neurali. Percorsi inusitati che imprevedibilmente la mente percorre.

Di questa esperienza racconta l’installazione di Andreas Golinski: un’architettura del vivere quotidiano, l’interpretazione varia e mai esaustiva del dato percettivo. Lo sguardo spesso domina facilmente e prevale gli altri sensi ed è allora che la possibilità di un’ulteriore prospettiva si fa preziosa.

Si può circoscrivere un’area ma non per questo si può essere certi  di controllarne il vissuto. Chi la abita può scegliere di crescere in altezza o di scendere in profondità. Ci sono argini che la vita dirompe perché la natura stessa ci ha dotato di una capacità esplorativa praticamente infinita e l’orizzonte è prossimo solo per chi non alza mai lo sguardo.

 

Camilla Seibezzi